La Cassazione torna sul tema della definizione di acquirente finale di prodotti contraffatti con la sentenza 12870/16, depositata lo scorso 30 marzo.
L’imputato, condannato per ricettazione, aveva presentato ricorso chiedendo che il fatto venisse considerato depenalizzato in quanto egli vantava di essere un consumatore finale, categoria sostanzialmente equiparabile a quella del c.d. ”acquirente finale” prevista dall’art. 1 comma 7 del Decreto Legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito nella Legge 14 maggio 2005, n. 80 e modificato dalla Legge 23 luglio 2009, n. 99.
La Corte, al riguardo, ricorda l’insegnamento delle Sezioni Unite (sentenza 22225/2012) e ribadisce che “la nozione di acquirente finale … va intesa in senso restrittivo, nel senso che per tale deve intendersi solo ed esclusivamente colui che acquisti il bene contraffatto per uso strettamente personale e, quindi, resti estraneo non solo al processo produttivo ma anche a quello diffusivo del prodotto contraffatto”.
Per rendere più chiaro quest’ultimo concetto, la Corte chiarisce che è “irrilevante se l’ulteriore distribuzione avvenga a titolo oneroso o gratuito” e ricorda in proposito una precedente condanna subita da due soggetti che si erano difesi sostenendo di aver acquistato prodotti contraffatti solo per farne dono a familiari e dipendenti.